Cause e trattamento dell’insufficienza cardiaca: le ultime scoperte
Nella comparsa dell’insufficienza cardiaca cronica un ruolo decisivo è svolto dalla resolvina D1, una molecola lipidica. Questa malattia grave fa sì che il cuore non sia in grado di pompare il sangue in maniera appropriata e nel nostro Paese è la prima causa di ricovero in ospedale (eccezion fatta per i parti). Si tratta di una patologia che, tra chi ha compiuto 75 anni, colpisce una persona su dieci. Anche nella fascia di età compresa tra i 18 e i 40 anni, però, sono necessari controlli approfonditi, visto che l’insufficienza cardiaca cronica riguarda una persona ogni cento. Non solo: tra coloro che hanno subito un infarto, la malattia si presenta nei 4 anni successivi all’evento in circa il 25% dei casi.
Le conseguenze
Tra le conseguenze della patologia non possono non essere prese in considerazione quelle di natura sociale che riguardano i soggetti colpiti: si parla, per esempio, di costipazione e capogiri, ma anche di gonfiori alle gambe e difficoltà nello svolgere esercizi fisici. Una normale attività come salire una rampa di scale costituisce un ostacolo quasi impossibile da superare, insomma. Una visita cardiologica – per esempio presso il Centro di Prevenzione Cardiovascolare a Bolzano – e un ecg consentono di riscontrare l’eventuale presenza della malattia, per certificare la quale è necessario, però, l’eco-cuore, grazie a cui si può misurare la diminuzione della capacità del muscolo cardiaco di contrarsi. La probabilità che si verifichi un episodio di scompenso è molto elevata, e questo può voler dire in alcuni casi dover ricorrere addirittura a un trapianto.
La resolvina D1
Ma che cosa c’entra la resolvina D1 in tutto questo? In sostanza, si è notato che nel sangue delle persone malate questa molecola lipidica è presente in misura ridotta. Il difetto è dovuto alla scarsa capacità delle cellule immunitarie di produrre tale lipide. In effetti, quanto più la condizione patologica della persona è grave tanto più è scarsa la quantità di resolvina D1 riscontrata. Il ripristino della molecola, in ogni caso, da solo non basta per tenere sotto controllo le reazioni infiammatorie che si innescano nel cuore. Infatti, chi soffre di insufficienza cardiaca cronica non solo denota livelli di resolvina D1 modesti, ma anche una limitata espressione del recettore che ha il compito di mediare i suoi effetti biologici.
Un difetto da risolvere
Le ricerche più recenti sul tema hanno messo in evidenza che, nel processo di risoluzione della malattia, c’è un difetto che può associarsi alla malattia dell’insufficienza cardiaca cronica o addirittura provocarla. Ipotizzare scenari di cura efficaci al momento non è possibile, anche se un’idea potrebbe essere quella di controllare con successo le molecole che hanno la capacità di curare e rimediare alla flogosi. Per ora si può immaginare che le resolvine costituiscano una sorta di bio-marcatore plasmatico per l’insufficienza cardiaca cronica, e in un futuro non troppo lontano esse potrebbero rappresentare un bersaglio terapeutico che consenta la messa a punto di farmaci diversi da quelli che si usano oggi.
Lo studio sulla resolvina D1, realizzato con la collaborazione dell’Unità Operativa Complessa di Geriatria del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, è stato condotto dall’Università Campus Bio-Medico di Roma ed è stato pubblicato sulla rivista del settore FASEB Journal. Principale investigator della ricerca è stato il professor Mauro Maccarrone, ordinario di biochimica alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’ateneo della Capitale, ma è stato fondamentale anche l’apporto di Valerio Chiurchiù, esperto internazionale di resolvine e prima firma.
Lascia un commento