Acrilammide: componente cancerogeno dei cibi spazzatura
L’acrilammide è una sostanza chimica che si forma naturalmente nei prodotti alimentari amidacei durante la normale cottura ad alte temperature (frittura, cottura al forno e alla griglia e anche lavorazioni industriali a più di 120° con scarsa umidità). Si forma per lo più a partire da zuccheri e aminoacidi (principalmente un aminoacido chiamato asparagina) che sono naturalmente presenti in molti cibi. Il processo chimico che causa ciò è noto come “reazione di Maillard” e conferisce al cibo quel tipico aspetto di “abbrustolito” che lo rende più gustoso.
Quali sono i rischi che corrono i consumatori consumando cibi contenenti acrilammide?
Nel 2015, l’EFSA – European Food Safety Authority , ha emanato un parere scientifico sui rischi dovuto al consumo di alimenti contenenti acrillammide, nel quale si evidenzia:
- L’acrilammide potenzialmente aumenta il rischio di cancro nei consumatori di tutte le età
- I più importanti gruppi di alimenti che contribuiscono all’esposizione all’acrilammide sono i prodotti fritti a base di patate, il caffè, i biscotti, i cracker, i diversi tipi di pane croccante e il pane morbido
- Gli ingredienti, le condizioni di conservazione e di lavorazione influenzano molto la formazione di acrilammide negli alimenti
- La scelta del metodo di cottura a casa influisce in maniera sostanziale sul livello di acrilammide al quale gli esseri umani vengono esposti tramite l’alimentazione
Una volta ingerita l’acrilammide viene assorbita dal tratto gastrointestinale, distribuito a tutti gli organi e metabolizzato, provocando la formazione di glicidammide.
Gli studi hanno dimostrato che questo causa una maggiore probabilità di sviluppare mutazione genetiche e tumori di vario tipo, alla ghiandola mammaria, alla ghiandola tiroidea, nei polmoni, nello stomaco e alla pelle. Inoltre ha effetti nocivi sul sitema nervoso, compresa la paralisi degli arti inferiori, sullo sviluppo pre e post natale e può influire negativamente sul sistema riproduttivo maschile. Tuttavia gli studi in campo umano necessitano di ulteriori validazioni, dato che talora hanno dato risultati contrastanti
Dove ritroviamo l’acrilammide?
Diversi sono gli alimenti che contengono acrilammide, e che rappresentano un rischio nell’alimentazione umana.
I prodotti fritti a base di patata sono responsabili fino al 49% dell’esposizione negli adulti, seguito dal caffè (3%) e pane morbido (23%), infine troviamo i biscotti, i cracker e il pane croccante.
Nei bambini la situazione è diversa: nel 51% dei casi l’esposizione è avvenuta a causa di prodotti a base di patate fritte come patatine e snack, quindi nel 25% dei casi si ritrovano il pane morbido, i cereali da colazione e i biscotti. Nel 15% dei casi la contaminazione è dovuta a dolci.
Anche i neonati possono essere colpiti dall’esposizione all’acrilammide, dovuta per lo più ad alimenti trasformati per i bambini a base di cereali come fette biscottate e biscotti.
Non bisogna dimenticare che l’acrilammide non si trova soltanto negli alimenti. Il fumo di tabacco (attivo per i fumatori, e passivo per i non fumatori) è una fonte di esposizione all’acrilammide più importante dei cibi. Inoltre essa viene usata ampiamente in numerose preparazioni industriali, e pertanto sono soggette ad una eventuale esposizione anche il personale lavorativo mediante assorbimento cutaneo o inalazione.
Cosa fare per ridurre l’esposizione all’acrilammide
Anche se non al centro della valutazione dei rischi effettuata dall’EFSA, il parere scientifico include una panoramica dei dati e della letteratura scientifica che sintetizza come la scelta degli ingredienti, il metodo di conservazione e la temperatura alla quale il cibo è cucinato possano influire sulla quantità di acrilamide nei diversi tipi di alimenti e quindi sul livello di esposizione alimentare.
Gli organi decisionali europei e nazionali terranno conto della consulenza scientifica dell’EFSA nel soppesare ogni possibile misura per ridurre ulteriormente l’esposizione dei consumatori all’acrilammide nei cibi. Esse potranno includere, ad esempio, consigli sulle modalità di consumo e cottura casalinga, oppure controlli sulla produzione degli alimenti destinati alla vendita; l’EFSA, comunque, non ha alcun potere nel prendere tali misure.
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