Prostatite, sintomi, cause e rimedi
È la neoplasia più diffusa nel mondo maschile, eppure la prostatite rappresenta ancora un tabù per gli uomini, che troppo spesso ne trascurano i sintomi, rischiando di far degenerare la malattia.
Circa 6,6 milioni di uomini italiani soffrono di prostatite, ovvero della ipertrofia prostatica benigna, mentre della sola neoplasia si ammalano oltre 40mila persone l’anno, in particolare dopo i 50 anni di età: numeri decisamente notevoli e preoccupanti, che però non sembrano dare il giusto sprone per la prevenzione corretta.
I sintomi della prostatite
Ai suoi esordi, la prostatite è asintomatica, ma con il progredire della malattia iniziano a riscontrarsi dolore, difficoltà a camminare e soprattutto problemi a urinare, sintomi che non vanno essere assolutamente ignorati per evitare l’insorgenza di ulteriori e peggiori complicanze.
Il primo metodo per scoprire se ci sono campanelli d’allarme è rispondere a tre semplici domande: la prima è “nell’ultimo mese ti sei alzato almeno due volte durante la notte per urinare?”, la seconda invece è “durante il giorno hai difficoltà a trattenere l’urina?” e l’ultima, infine, “hai la sensazione di non riuscire a svuotare completamente la vescica?”.
Anche una sola risposta affermativa dovrebbe convincere a un approfondimento con esami più dettagliati, da quello delle urine al Psa sanguigno, fino alla esplorazione digito-rettale che accerta l’eventuale ingrossamento della prostata.
Visite di controllo periodiche e check-up dopo i cinquanta anni di età sono in realtà gli unici mezzi per contrastare con efficacia l’insorgere della prostatite, per tentare di intercettare e combattere in tempo utile eventuali soluzioni di pericolo.
Invece, nonostante le campagne di sensibilizzazione, la maggior parte degli uomini continua a ritenere fisiologici e normali i disturbi urinari e si rassegnano a sopportarli: infatti, si stima che meno della metà delle persone che soffrono di queste difficoltà si rivolge effettivamente a un urologo. Una riluttanza che deriva da imbarazzo, scarsa informazione e paure latenti della malattia stessa e della eventuale terapia chirurgica.
Prostatite: cronica, acuta e abatterica
Le cause. Si distinguono due tipologie primarie di questa patologia: la prostatite cronica ha origine ancora sconosciuta, e si pensa possa dipendere da un microrganismo (ma non da un’infezione batterica), ed è in relazione con la composizione chimica dell’urina, il sistema immunitario o danni neurologici dell’area pelvica.
C’è poi la prostatite acuta di origine batterica, che invece trova un agente principale di sviluppo nei rapporti sessuali a rischio e può insorgere mentre i batteri si spostano nella prostata dall’uretra.
L’importanza della prevenzione. Oltre alla necessità di sottoporsi costantemente a visita e controlli già a partire dai 45 anni, non bisogna poi trascurare alcuni comportamenti personali, come l’importanza dell’attività fisica (evitando di restare a lungo in posizione seduta, anche al lavoro) e soprattutto di una alimentazione corretta.
In particolare, andrebbero limitati o evitati i grassi animali e l’alcol, così come bisogna ridurre l’assunzione di liquidi come tè e caffè prima di dormire, mentre la dieta dovrebbe prevedere di consumare più fibre integrali, frutta e verdura, oltre che di bere circa due litri di acqua al giorno.
Le cure. Dal punto di vista dei trattamenti, esistono tre diverse classi di farmaci che vengono prescritti ai malati di prostatite, ovvero alfa bloccanti (che però non riducono il volume della prostata né il rischio di ulteriori complicanze), inibitori delle 5 alfa-reduttasi (che invece agiscono sulla prostata e sul diidrostestosterone, migliorando progressivamente i sintomi) e fitoterapici (che hanno proprietà antinfiammatorie, antiandrogeniche e spasmolitiche).
Quando però i disturbi progrediscono e i farmaci risultano inefficaci, si ricorre alla terapia chirurgica e a interventi in endoscopia o chirurgia classica. In genere, comunque, è stato studiato che la maggioranza dei malati – e per la precisione 9 maschi su 10 – vive almeno 5 anni dopo la diagnosi.
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