Residuo fisso nell’acqua, cos’è?
Il residuo fisso nell’acqua è un dato che indica la concentrazione di sali minerali presente in un litro d’acqua fatto evaporare a 180 gradi, ed è particolarmente importante per conoscere la “leggerezza” del prodotto e scoprire se possa andar bene per il nostro organismo.
L’Italia è, dopo il Messico, il secondo Paese al mondo che fa il maggior consumo di acqua minerale: secondo il Censis, per la precisione, più di due famiglie su tre (ovvero il 61,8 per cento) in tutta la Penisola comprano abitualmente bottiglie di acqua confezionata, che determinano un consumo medio pari a 192 litri l’anno per persona.
Bastano queste cifre per capire perché è importante conoscere bene quali sono le caratteristiche dell’acqua che acquistiamo e beviamo, a partire dal suo contenuto di sali minerali, ovvero il residuo fisso.
Tutti conosciamo la formula della composizione chimica dell’acqua che abbiamo imparato a scuola, ma quella confezionata in realtà non è semplicemente “H2O”, perché nell’acqua minerale sono disciolti altri componenti presenti in natura, come metalli e sali minerali. La loro incidenza, quantità e tipologia dipendono dalle differenze delle zone geologiche e dal percorso che l’acqua compie nei vari strati terrestri che la portano fino alla sorgente.
In generale, non esiste a priori un’acqua che si possa definire “migliore” di un’altra, perché entrano in campo diverse variabili, che riguardano soprattutto le necessità dell’organismo.
Ma c’è un dato che bisogna imparare a leggere prima di decidere di acquistare questa o quella marca, ovvero il residuo fisso nell’acqua, che rappresenta la quota, misurata in milligrammi per litro, di sostanze che si trovano portando a ebollizione un litro d’acqua a 100 gradi e facendolo poi essiccare a 180 gradi: il residuo, appunto, di questa operazione viene esaminato e pesato, per segnalare la presenza e la quantità degli altri elementi in quella specifica acqua.
Residuo fisso nell’acqua: informazioni di benessere
Come premessa, bisogna ricordare che più basso è il numero di residuo fisso nell’acqua, inferiore sarà la quantità di sostanze che contiene.
Da questo valore viene stilata la classificazione delle acque in commercio, che sono denominate minimamente mineralizzate (quando hanno residuo fisso uguale o inferiore a 50 mg/l), oligominerali (dove la quota sale tra i 50 e i 500 mg/l:sono le più diffuse e commercializzate in Italia, con circa il 50 per cento del totale),medio minerali (ancora più alto, tra 501 e 1.500 mg/l) e infine ricche di sali minerali (con residuo fisso superiore a 1.500 mg/l).
Come detto, non esistono acque buone o cattive in senso assoluto: le acque fortemente mineralizzate, ad esempio, pur avendo un alto residuo fisso possono essere consigliate dai medici stessi in alcune situazioni patologiche o parapatologiche.
In assenza di patologie specifiche o di condizioni particolari, comunque, sarebbe bene orientarsi verso le acque oligominerali, che garantiscono un moderato apporto di questi elementi e dissetano maggiormente; in questo ambito esistono poi ulteriori “sottocategorie”, come i prodotti poveri di sodio adatti a chi soffre di ipertensione o a chi vuole combattere la ritenzione idrica e la cellulite.
Per i neonati, invece, è preferibile scegliere le acque minimamente mineralizzate, più digeribili e utilizzabili anche per la diluizione del latte in formula sin dai primi giorni di vita del bambino, mentre infine le acque medio minerali sono utili per ripristinare i sali minerali in organismi che ne sono carenti, come capita a chi è in età avanzata o fa molta attività sportiva.
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