Vertigine parossistica posizionale, cos’è e cosa fare
Quando si parla di vertigine parossistica posizionale ci si riferisce ad un senso di vertigine, accompagnato da giramento di testa e perdita dell’equilibrio. Può essere solo un episodio, ma alle volte è l’inizio di una vera patologia, comune e diffusa a ogni età che, una volta diagnosticata correttamente, può essere trattata in maniera efficace per ridare benessere al paziente.
Cos’è la vertigine parossistica posizionale?
La forma più diffusa di questa condizione prende il nome di Vertigine Parossistica Posizionale Benigna, che colpisce gli essere umani di qualsiasi fascia d’età, con un picco che generalmente si riscontra tra i 40 e i 60 anni.
Nella sua manifestazione tipica, si presenta con violente crisi di vertigine, capogiro di intensità media o forte e senso di instabilità, che durano all’incirca 30 secondi nei quali il paziente percepisce muoversi l’ambiente circostante, accompagnate da fenomeni di nausea e vomito.
Nell’arco di questi pochi secondi, i sintomi aumentano in maniera graduale fino a raggiungere il picco massimo, seguito poi dalla scomparsa del malanno (ecco perché è definita parossistica).
Gli studi hanno rivelato, inoltre, che lo scatenarsi di questa sindrome deriva dall’effettuare alcuni movimenti specifici o assumere posizioni particolari – come stendersi sul letto, rialzarsi di scatto, piegarsi in avanti, abbassare la testa (da cui l’aggettivo “posizionale”) – e che è associata a un movimento dei globi oculari, definito nistagmo.
Vertigine parossistica posizionale: sintomi e cause
Generalmente, non si identica con certezza la sua causa, a parte connessioni con traumi (di qualsiasi entità) alla testa o disturbi dell’orecchio interno. La buona notizia, infatti, è che di solito si risolve in maniera spontanea nell’arco di un paio di settimane, e perciò è “benigna” (anche perché non comporta particolari conseguenze a parte il rischio di cadute, se si verifica quando il paziente è in piedi).
La VPPB deriva da un “problema meccanico” all’orecchio interno, e per la precisione nei sensori di equilibrio che contengono la endolinfa, sui quali poggiano gli otoliti: a ogni movimento della testa, gli otoliti (più pesanti della endolinfa) provocano una deflessione delle ciglia del nervo, che inviano così un segnale al cervello sulla variazione della posizione del nostro capo.
La malattia sorge quando dalla lamina degli otoliti si staccano alcuni frammenti, che si depositano tra i sensori del nervo e alterano dunque la comunicazione con il cervello, facendo partire dei violenti impulsi ai sensori e, di conseguenza, forti segnali di rotazione del capo.
Non dipendendo nello specifico da fattori esogeni, la VPPB non si può curare con i comuni farmaci antivertiginosi, che si rivelano inefficaci a risolvere il problema.
Molto più utile, una volta accertato il distacco dei cristalli, è l’esecuzione di una manovra liberatoria, che consiste in alcuni movimenti della testa e del corpo da parte del paziente per tentare di liberare l’ampolla ossea dagli otoliti distaccati: se questa procedura va a buon fine, il paziente proverà una “vertigine liberatoria”, ovvero un senso di vertigine in senso inverso a quello delle crisi.
Non sempre, però, è possibile riconoscere con certezza la presenza degli otoliti e, quindi, diagnosticare la Vertigine Parossistica Posizionale Benigna: esistono casi in cui la vertigine non presenta gli stessi aspetti prima descritti, o in cui la manovra non risulta efficace.
In queste circostanze, bisogna sempre rivolgersi a un medico specialista, che consiglierà di eseguire ulteriori esami e approfondimenti diagnostici, come la video-oculo-nistagmografia o eventualmente una risonanza magnetica dell’encefalo, per accertare al meglio le cause del disturbo e studiare così la migliore terapia.
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